Cobra Grande

Cobra Grande

Cobra Grande

Vi presentiamo Cobra Grande, il racconto di viaggio con il quale Pierluigi Ciambra è stato selezionato come Finalista a Travel Tales Award 2021, la storia di una grande avventura amazzonica con la fotocamera in mano per raccontare esperienze ed emozioni irripetibili.

Foto: © Pierluigi Ciambra

Manicoré, centro della foresta pluviale Amazzonica, agosto 2004.

Si arriva con il battello, lungo il Rio Madeira, in due giorni di navigazione da Manaus.

Foto: © Pierluigi Ciambra

Varie tonalità di verde intenso e miriadi di fiumi e fiumiciattoli creano un panorama mozzafiato, la natura detta le proprie regole e determina la vita della popolazione, un’esistenza simbiotica tra uomo e natura.

Foto: © Pierluigi Ciambra

Si vive per strada, le case sono troppo piccole e le famiglie troppo numerose, molti giovani migrano verso la città.

Il più delle volte è ancora più dura e allora si risale sul battello, a fendere le acque del fiume.

Foto: © Pierluigi Ciambra

Visita il sito dell’Autore:

Ecco il link per scoprire tutto il lavoro di questo Autore sensibile e molto preparato: https://www.pierluigiciambra.com/ qui troverai tutti i suoi progetti, la bio, altre info e fotografie.

Donne del Maramures

Il Maramures: Romania

Il Maramures è una regione a nord della Romania confinante con l’Ucraina.

In questa regione vi sono alcuni comuni in cui tutto il sostegno economico viene dall’agricoltura, ed è qui che sono state scattate queste fotografie.

Romania

In queste comunità, quello più mi ha colpito, è la vita delle donne, a cui è demandato non solo la gestione della casa e degli animali, ma in moltissimi casi accudiscono anche il marito.

Molte storie si assomigliano: Maria, che ha lavorato per anni in Italia come badante, è tornata ad accudire il marito molto malato; Ana vive sola dopo la morte del marito e continua ad accudire il bestiame di famiglia; Loana mi invita in casa ad assistere al funerale della loro regina trasmesso dalla televisione e mi parla del marito morto da poco per un tumore alla gola.

Romania

Tutte queste donne accumunate da una grandissima dignità e dalla voglia di farti sentire a casa. Donne come Gabriela che vive col marito e si prende ancora cura della casa e del figlio che sta tentando di aprire un museo di oggetti tipici e mi invita ad unirmi per pranzo, dopo esseri vestita in abiti tipici per una foto.

Questo sarà solamente il primo dei tanti pranzi fatti con diverse famiglie.

La cultura contadina è sempre presente e diverse donne mi mostrano orgogliose le loro pecore o le loro mucche ma, alla domenica, tutte in chiesa a pregare e partecipare alla lunga cerimonia ortodossa che a me sembra non finire mai.

Come da tradizione possono entrare in chiesa ma devono rimanere nella zona posteriore, possono andare nella zona anteriore solamente per baciare le icone.

La gente nelle case

La vita scorre lenta, al ritmo della vita contadina, ed alla sera, invece di stazionare davanti alla TV, ci si riunisce lungo la strada per scambiare due parole.

Romania

Dopo una settimana termina il mio viaggio e ne esco arricchito per aver trovato una ospitalità incredibile. Ripensando ai racconti su mio nonno, che di lavoro faceva il contadino, penso di aver visto come poteva essere la sua vita, molto più semplice ma decisamente più ricca della nostra.


Alessandro Zaffonato

GUIZHOU: la Cina di Maurizio Trifilidis

Per un viaggio di incontri e foto in Cina, ho scelto il Guizhou. Non avevo interesse per le grandi citta “modernizzate” e neanche per le antichità  più note al turismo. Il Guizhou è una regione rurale, dove  tuttora l’agricoltura costituisce  la base essenziale dell’economia locale. Una regione che vede la presenza di molti piccoli villaggi le cui tradizioni  e abitudini stanno si cambiando ma più lentamente rispetto ad altre parti del paese; villaggi con una popolazione media  anziana, perché anche qui i giovani, come  succede in tutto il mondo,  preferiscono trasferirsi nelle grandi città, alla ricerca di modernità e di lavori diversi da quello nei campi.

Pulizia della cucina – Foto: © Maurizio Triiflidis
Ragazza Etnia Long Horn nella stanza principale – Foto: © Maurizio Trifilidis

Complessivamente, ciò che più mi ha colpito in questi piccoli villaggi, e che rimane ben evidente nelle foto scattate, è stata la facilità del rapporto umano con chiunque abbiamo incontrato.  Superando spesso a gesti o con l’aiuto della guida la barriera della lingua,  quando abbiamo bussato a una porta ci è stato sempre aperto e ho potuto fotografare quanto non mai le persone, sempre ospitali e disponibili, pronti a offrirti una sigaretta, un thè o una parte del loro pranzo, all’interno delle loro abitazioni.

Cina
Fumatori – Foto: © Maurizio Trifilidis

Le prime foto riguardano i Long Form, una tribù dell’etnia Miao, che si caratterizza  per le  vesti colorate e, soprattutto, per i tipici copricapi di legno ricoperto da matasse nere. Vivono in un’area  remota,  lontana dai flussi turistici e mostrano con orgoglio i simboli della propria tradizione.

In attesa – Foto: © Maurizio Trifilidis
Offerta di Zuppa – Foto: © Maurizio Trifilidis

Le altre foto riguardano le attività quotidiane più elementari, spesso legate al pranzo o a un momento di riposo. Ho partecipato anche a un matrimonio, semplice ma incredibilmente rumoroso: di fronte agli sposi un signore accendeva in continuazione  batterie di “miccette”, piccole ma in quantità incredibile, e il cui intenso baccano è percepibile anche solo dal fumo ben visibile nella foto e dall’enorme scatola che ne conteneva solo una parte.

festa di matrimonio – Foto: © Maurizio Trifilidis
Preparazione del pranzo – Foto: © Maurizio Trifilidis

In nessuno dei miei viaggi precedenti avevo fotografato così tanto in interno e soprattutto persone. Un viaggio che ha cambiato il mio modo di fotografare e che ha trasformato ogni scatto, preceduto e seguito sempre da un partecipato scambio umano,  in una testimonianza di comunanza con il soggetto fotografato; ogni foto rappresenta un volto e una storia a sé stante, con  l’unica eccezione dell’ultima, il “villaggio”, necessaria  a mostrare il contesto esterno dei posti visitati.

Cina
Formaggio in tavola – Foto: © Maurizio Trifilidis
Cina
Preparazione del cibo – Foto: © Maurizio Trifilidis
Il pranzo pronto – Foto: © Maurizio Trifilidis
Amore Materno – Foto: © Maurizio Trifilidis
Cina
Il Villaggio – Foto: © Maurizio Trifilidis

Afghanistan, Bamiyan

Partecipo al concorso Travel Tales Award con un racconto sul viaggio in Afghanistan e India, tratti dal mio diario. Le foto sono in parte in bianco e nero, quelle del viaggio tra gli incontri e i torrenti del Badoskan. Quelle dei Buddha e della valle di Band-i-Amir le ho lasciate a colori come dalle originarie diapositive.

Afghanistan – 5 Francesco e la gente afghana

Le fotografie sono in parte del Sottoscritto Francesco Carmignoto e in parte dell’amico Francesco Ghion che ci ha lasciati quattro anni fa. Il suo ricordo mi riempie sempre di affetto e di nostalgia per il tempo passato. Foto e racconti vogliono essere un omaggio alla sua gioia per la vita e alla sua bravura.

Il testo ci vede già arrivati in Afghanistan con le nostre due piccole Fiat e non descrive il lungo percorso, bensì la atmosfera e le impressioni riportate sul diario. 

Introduzione dall’Autore Francesco Carmignoto

Francesco Carmignoto

Afghanistan – 4 Una famiglia in cammino

La valle di Bamiyan

Da Kabul abbiamo deviato per la pista di Charikar, nel Nuristan. Qui il gruppo del Koh-i-Baba domina l’imponente fuga dei “colli” del Badokskan, nell’Hindu Kush, con cime superiori ai 6000 metri. 

Afghanistan – 2 Le nostre magnifiche auto

Un grande silenzio. Solo il torrente Kunduz, ricolmo di acqua cristallina, gorgoglia verso Est, verso l’Amu Darya. Più avanti formerà i sette laghi blu di Band-i-Amir.

Afghanistan – 3 Sulla strada per band-i-Amir
Afghanistan -10 Bamiyan. Il secondo Buddha

Le rovine della “città rossa”, la fortezza che ha resistito a Tamerlano, sono ancora imponenti e dominano il villaggio. La gente della tribù hazara sorride e saluta. Ha i tratti mongoli ereditati dalle orde che Gengis Khan spingeva lungo queste valli al centro dell’Afghanistan alla conquista della Persia.

Da una curva della pista, come da un belvedere, l’alta parete rosata appare traforata a perdita d’occhio. Innumerevoli grotte, rifugio per secoli dei monaci, fanno da cornice a due nicchie con statue maestose, i Buddha di Bamiyan.

Sono scolpiti nell’arenaria, in piedi, appena coperti da un leggero mantello che scende in pieghe sottili. Ricordano le statue dei grandi condottieri greci e romani. Sono la testimonianza più bella dell’arte di Gandhara, l’incontro tra gli artigiani greci al seguito di Alessandro Magno e l’arte indiana. In alto, sulla volta della nicchia si intravvedono vecchi affreschi.

Le immagini di Bodhisattva e dei fedeli intenti alla preghiera hanno aureole dorate attorno al capo, come quelle delle icone del Cristo bizantino e dei santi nella pittura del Trecento.

Afghanistan – 8 Bamyian. Le grotte dei monaci
Afghanistan – 9 Bamiyan. Il grande Buddha

Il buddismo era giunto in questa valle con i pellegrini nepalesi, attorno al terzo secolo d. C. e qui era sorto un monastero con migliaia di monaci. Il buddha più grande, alto più di 50 m, è già molto rovinato, forse dai tempi delle scorrerie di Gengis Khan o dalla conquista dell’Islam. La faccia è mezza cancellata e le gambe erose.

Eppure emana una suggestione sottile, una sensazione di pace e di tolleranza. Il braccio destro, velato dal manto leggero sembra ancora accogliere con la forza tranquilla di un tempo immutabile.

Verso sera ci avviamo verso i laghi di Band-i-Amir. Passiamo steppe infinite e aride colline dai colori bruciati. Dall’alto vediamo una serie di laghi azzurri illuminati dal tramonto rosato. Scendiamo fino ad una grande spianata sotto una falce di luna che scompare dietro le alte montagne.

Siamo soli, mentre il cielo si riempie di stelle nelle ultime luci viola. Le miriadi di stelle palpitanti nel blu evidenziano ancor più la Via Lattea luminosa come seta. I picchi altissimi sono rosati anche di notte.

Una incredibile magia trovarci sperduti quassù, tra le montagne più misteriose del mondo.

Afghanistan – La valle di Bamyian
Afghanistan – La nostra tendina nella spianata
Afghanistan – In attesa della partenza

Afghanistan 1967

Partecipo al concorso Travel Tales Award con un racconto sul viaggio in Afghanistan e India, tratti dal mio diario. Accompagnano le fotografie scattate per la maggior parte dal mio caro amico Francesco Ghion, che ci ha lasciati quattro anni fa. Il suo ricordo mi riempie sempre di affetto e di nostalgia per il tempo passato. Foto e racconti vogliono essere un omaggio alla sua gioia per la vita e alla sua bravura.

Il testo ci vede già arrivati in Afghanistan con le nostre due piccole Fiat e non descrive il lungo percorso, bensì la atmosfera e le impressioni riportate sul diario. 

Il racconto si riferisce a Kabul e alla sua gente di antica fierezza.  

La Foto 14 relativa a Kabul ci mostra tutti a cena con il segretario d’Ambasciata, la 15 Francesco Ghion con il parroco della chiesetta all’interno dell’ambasciata. La sua parrocchia era l’Afghanistan.

Afghanistan 1967. Gente di Kabul

Kabul ci accoglie con il solito caos delle città orientali, nel gran brulicare di gente a piedi e di tanti calessi trainati da un cavallo. Qui li usano come taxi.

Foto: © Francesco Ghion – I taxi di Kabul
Foto: © Francesco Ghion – Sull’asinello del nonno

Le nostre due piccole Fiat, che da Padova hanno già percorso più di 10.000 km, creano sorpresa e curiosità. Al centro di un incrocio un vigile dall’uniforme senza più colore è immobile e osserva il via-vai da una piccola pedana.

Si rianima appena vede le nostre auto che si fanno largo a stento. Scende deciso nel “traffico”, si mette a fischiare come un’orchestra, intima l’alt ad un vecchietto con l’asinello, ai carretti e ai numerosi pedoni pieni di fagotti multicolori e poi, con gesto magniloquente ed il volto illuminato dal suo più bel sorriso, ci indica che la via è libera.

Il bello è che ad ogni incrocio c’è lo stesso tipo di vigile, che esegue le stesse grandi manovre solo per noi.

Foto: © Francesco Ghion – Notabili di Mazar-i-Sharif

La città vecchia è un groviglio di viuzze dove si affacciano botteghe di ogni genere. L’affollamento è straordinario, carretti, asini, capre, qualche fuoristrada scassato e tanta gente con vesti fantasiose. Gli uomini usano vesti e mantelli sovrapposti e turbanti colorati in testa. Alcuni ostentano lunghi fucili, piuttosto vecchi e scassati. Forse solo decorativi.

Foto: © Francesco Ghion – Al mercato dei macellai
Foto: © Francesco Ghion – Le mogli dell’ufficiale

Impariamo a distinguere le tante etnie. I pashtun della zona di Kandahar portano un grande turbante bianco. I borghesi di Kabul un elegante berretto in pelliccia di karakoul. Gli afghani del Nord indossano il pakol, un berretto marroncino che sembra una padella con il bordo ingrossato. Assomiglia al copricapo dei Signori del Rinascimento italiano.

Davanti ad un cinematografo nel bazar, una piccola folla commenta sorpresa i manifesti del film americano Cat Ballou, in cui Jane Fonda si mostra in una posa curiosa.

Foto: © Francesco Ghion – Cat Ballou
Foto: © Francesco Ghion – Il venditore d’acqua

Seduto a terra, un erudito legge il Corano ad un devoto accovacciato di fronte. L’afghano sembra un po’ perplesso.

Foto: © Francesco Ghion – Al bazar. La lettura del Corano
Foto: © Francesco Ghion – Il Fotografo

Un venditore d’acqua porta un otre ricolmo. La barba è tinta di rosso con l’hennè. E’ vestito di una stoffa ricavata da un sacco, ma con taglio quasi occidentale. Orologio al polso e toppe sui gomiti ne fanno un elegantone.

Foto: © Francesco Ghion – L’attesa

Al mercato le donne con il burqa appaiono silenziosi fantasmi colorati. Da lontano vedi volteggiare un leggero mantello dai colori tenui dell’azzurro e del rosa. Scende dalla testa ai piedi e le mille pieghe si muovono sinuose. Un bimbo in braccio si nasconde tra le pieghe.

Foto: © Francesco Ghion – Bimbo addormentato nel burqa

Ne siamo veramente affascinati. Nella immaginazione dei nostri vent’anni, così tutte le donne diventano belle, una immagine fluttuante, un corpo etereo che il vento si diverte a nascondere ed evidenziare, un balenare di occhi neri che ti osservano curiosi. Poi il capo si abbassa e il burka scompare tra la gente in un leggero fruscio.

Francesco Ghion

Foto: © Francesco Ghion – Spaghetti con l’ambasciatore
Foto: © Francesco Carmignoto – Francesco Ghion con il parroco di Kabul

Il Mercato di Milot – Albania

Durante un viaggio in Albania ho visitato il caratteristico mercato di Milot, cittadina situata circa 50 Km a nord di Tirana. 

Si tratta di un mercato che dai primi anni del secolo scorso si svolge ogni domenica mattina e che richiama moltissime persone che vengono a Milot dai paesi e dalle campagne circostanti attratte dalla notevole varietà di mercanzie in vendita.

È possibile acquistare di tutto: nella zona ovest del mercato, la più lontana dal centro della cittadina, vengono venduti, in condizioni igieniche molto discutibili, animali di molte specie. Nella zona centrale vengono venduti prevalentemente abiti, calzature, casalinghi, attrezzi da lavoro e oggettistica di vario tipo ed inoltre iniziano le bancarelle che vendono generi alimentari.

Nella zona nord-est, quella più vicina al centro di Milot, vengono venduti soprattutto prodotti della terra e generi alimentari (miele, marmellate, ecc.) prodotti artigianalmente dagli stessi venditori.

Le persone sono cordiali e molto ben disposte verso gli stranieri e in particolare verso gli italiani, anche se in molti casi non vogliono essere fotografate; alcune donne indossano abiti tradizionali.

Stefano Bianchi

 


Travel Tales Award

Stefano Bianchi ha di recente partecipato a Travel Tales Award Edizione 2021 la grande iniziativa che premia i migliori Racconti fotografici di viaggio. Oltre 150 Autori si sono confrontati sul tema unico proposto e organizzato da Angelo Cucchetto con Italian Street Photography, Photographers, Cities e la collaborazione della Rivista IL FOTOGRAFO che ha dato ulteriore grande visibilità a tutta l’iniziativa.

Tra i partner promotori di tutto l’evento ovviamente non potremmo che esserci anche noi di Viaggio Fotografico e in collaborazione con gli spazi espositivi di OTTO Gallery

Puoi vedere tutto il lavoro di Stefano Bianchi pubblicato sul sito ufficiale di Travel Tales Award: https://traveltalesaward.com/2021/05/25/milot-market-di-stefano-bianchi/

COMMENTI:

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Il mercato di Milot nelle foto di Stefano Bianchi

Etiopia: il Natale arriva a gennaio

Se pensi al Natale come Babbo Natale che arriva sulla slitta il 25 dicembre e porta regali ai bambini, leggi questo articolo: ti porterò in un posto in cui tutto questo non è vero. Ad esempio, nel nord dell’Etiopia, a Lalibela, è tutto diverso, anche la data di Natale che viene celebrato il 7 gennaio!

Etiopia
Soli, in un villaggio senza nome. Etiopia 2016. Foto: ©Roberto Gabriele

Lalibela è un posto magico, denso di spiritualità, uno di quei posti in cui sentirai esplodere dentro di te il mal d’Africa. Lalibela è la classica cittadina tranquilla africana: poche case in muratura, qualche albergo e tante capanne, sono i tipici tukul con il tetto in paglia a punta. Lalibela però è un Patrimonio dell’UNESCO perchè qui c’è qualcosa che non esiste in nessun altro posto al mondo: le chiese rupestri ipogee monolitiche. Detto in altri termini queste chiese sono state letteralmente scavate svuotando la montagna e ricavando la chiesa da un unico blocco di roccia. 40 anni di lavoro fatto a mano con martelli e scalpelli.

San Giorgio
Le chiese vengono letteralmente scavate nella roccia. Foto: ©Roberto Gabriele

Qui le chiese sono di rito cristiano copto, un rito completamente diverso da quello cattolico, nei costumi, nella durata, nelle modalità di celebrazione e anche nella simbologia. La festa del Natale è la più sentita, la più bella e partecipata dell’anno. Circa 20.000 fedeli arrivano qui per celebrare la nascita di Gesù con una messa che dura 12 ore: dalle 9 di sera fino alle 9 del mattino successivo, il tutto accompagnato da circa 300 sacerdoti che indossano paramenti dai colori sgargianti e da tutti i fedeli che vestono il tipico caftano bianco. L’atmosfera che si respira qui è meravigliosa, che si sia credenti o no è impossibile rimanere impassibili davanti a tutto questo. La simbologia è talmente chiara da sembrare artefatta: sembra che ci sia dietro il lavoro di un abile regista, mentre invece tutto è dettato dalla tradizione più antica e incontaminata. Quando andai io, tra la gente c’era persino il Presidente dell’Etiopia con la sua scorta! Le misure di sicurezza erano fittissime! ;:)

Ragazza legge le Scritture – Foto: © Roberto Gabriele

La notte simboleggia la tenebra e il peccato: il rito non a caso viene celebrato con il buio. La suggestione del momento è enfatizzata dalla presenza di centinaia di candele con le quali i fedeli rischiarano di tanto in tanto la lettura dei testi sacri che portano con se per seguire le letture durante la lunga veglia. E’ incredibile osservare le espressioni e il coinvolgimento emotivo di queste persone rapite dalla preghiera. Ma la notte è fatta anche per riposare e qui nella grande chiesa di Santa Maria (dedicata alla Madonna) si dorme regolarmente durante la lunga veglia notturna del Natale! Quello che da noi in Italia sarebbe impensabile, irriverente, inaccettabile come il dormire in chiesa durante un rito sacro, in Etiopia invece viene accettato senza difficoltà: la notte è fatta per dormire, chi vuole prega, gli altri dormono!

 

I sacerdoti sono centinaia, restano svegli tutta la notte a celebrare il lungo rito. Molti di loro sono sposati e hanno figli, il celibato non è  a loro richiesto. Quasi ogni parte del rito viene cantata e danzata per rendere la partecipazione più corale e intensa. Le letture e le omelie sono ridotte al minimo. Il ritmo lento viene scandito dal Sistro: uno strumento il cui suono assomiglia a quello di un cembalo, costruito con una impugnatura con dei piattelli che vengono suonati alzando o abbassando il braccio in un gesto rituale che simboleggia la morte (braccio abbassato) e la resurrezione di Gesù (braccio alzato). Durante ogni canto, durante tutta la notte, viene ricordato tutto questo.

preghiera
La veglia di Natale dura 12 ore. Foto: ©Roberto Gabriele

E poi c’è la gente che vive in massa tutto questo. A parte chi dorme e chi legge nella chiesa, c’è poi chi rimane all’esterno e partecipa al rito guardandolo sui maxischermi che vengono allestiti per l’occasione perchè all’interno non c’è spazio per tutti. Fuori dalla chiesa, davanti ai monitor si crea un vero e proprio accampamento con tende improvvisate e tavolate di intere famiglie che ricoprono la montagna con le loro vesti bianche che si vedono bene nella notte.

Tra la gente e i sacerdoti c’è la presenza fondamentale di certi mediatori che scendono tra la gente portando a loro i simboli cerimoniali come la croce e un cuscino che viene baciato a turno dai fedeli. Questi mediatori sono quelli che vendono le candele con le quali partecipare alla messa. I loro abiti sono preziosi, dorati, coloratissimi e portano sempre un ombrello damascato coordinato con l’abbigliamento. A ben guardare i loro movimenti, nonostante l’apparenza solenne, appaiono però come abili commercianti che si aggirano durante la lunga messa tra la gente per vendere ancora candele a chi ne fosse rimasto sprovvisto.

Venditore di candele. Foto©Roberto Gabriele

Il Natale copto è il 7 gennaio, con la grande veglia che inizia il 6 sera, in corrispondenza con la nostra Epifania. Il giorno della Vigilia passa tra i pellegrinaggi che vengono fatti dai fedeli nelle chiese: si va in visita alle icone dei santi e ci si mette in fila per una veloce benedizione, si bacia la croce copta in legno o in argento e con questa si viene benedetti dal sacerdote. Migliaia di persone arrivano 1-2 giorni prima del Natale proprio per avere il tempo di fare i pellegrinaggi in tutte le chiese e in particolare in quella di San Giorgio, la più grande e bella: famiglie intere o comunità locali si spostano in gruppo arrampicandosi sui pericolosi muretti alti 10 metri senza protezioni, camminando negli stretti cunicoli in discesa scavati per accedere alle chiese. E per tutto il giorno si mangia in strada dove ci sono ristorantini ambulanti e migliaia di fedeli già vestiti a festa.

ristorantini
Ristorantini di strada in Etiopia. Foto: ©Roberto Gabriele

Alle 21 del 6 gennaio inizia la lunga messa: 12 ore per sentirsi vicini a dio. Durante la prima parte ci sono canti e danze, quando la notte diventa profonda, il ritmo rallenta e la gente si addormenta a terra. Quello è il momento preferito da noi fotografi perchè possiamo muoverci facilmente per fare le nostre foto e camminare infilando i piedi nei pochissimi spazi liberi tra la gente che dorme, anche se ogni tanto può capitare di pestare una mano o un piede nascosti nel buio… La cosa più bella da fotografare sono i contrasti tra le luci delle candele e le ombre, tra il bianco delle vesti e il nero della pelle della gente, tra i colori dei vestiti e il nero della notte. 

 

La lunga veglia prosegue abbastanza uguale a se stessa fino al momento in cui improvvisamente il rito cambia e il buio lascia lo spazio al rito della luce che simboleggia la nuova nascita e l’arrivo del Natale. La chiesa che era caduta nel torpore generale si sveglia improvvisamente tra le urla generali delle folla impazzita: la nascita di Gesù viene celebrata in quel momento con una gioia incontenibile e urla liberatorie. In pochi istanti tutti i fedeli tirano fuori le candele che avevano conservato e le accendono l’una con l’altra in un gesto di condivisione reciproca durante il quale la luce aumenta velocemente in proporzione. Il momento è emozionante: le urla festose, la luce che aumenta, la chiesa che fino a quel momento era stesa a terra a dormire si rialza in piedi e ricomincia a partecipare al rito. Poco dopo la preghiera è fortissima, le urla caotiche vengono riordinate di nuovo dalla coralità della preghiera e, girandosi intorno, tutto ciò che era buio ora è illuminato dalla luce di migliaia di candele accese, tutto ciò che era libero ora diventa ordinato e corale.

Il Natale è la festa della luce. Improvvisamente migliaia di candele illuminano a giorno tutta la chiesa. Foto: ©Roberto Gabriele

La gente ora è tutta in piedi e rivolta verso l’altare con le candele in mano intenta a pregare, questo momento dura un’oretta  di preghiera, poi di nuovo un crescendo di emozioni avvolge i presenti: di nuovo le urla della folla impazzita: alzando lo sguardo verso i bordi laterali si scorgono i sacerdoti che sono saliti sul bordo dello strapiombo intorno alla chiesa e dall’alto cingono con la loro presenza tutta la chiesa e i fedeli in un abbraccio simbolico, hanno cambiato le loro vesti, tolto i colori e sono tornati a vestire anche loro di bianco con solo una fascia colorata. Applausi, lacrime  e sorrisi: si alzano verso di loro migliaia di telefoni cellulari che fotografano la lunghissima fila di Celebranti, tutti hanno tra loro un parente o un amico che dall’alto li sta benedicendo e li ricambiano con una foto ricordo. Anche i sacerdoti, nonostante la sacralità del momento e del loro ruolo, scattano di tanto in tanto qualche foto con il cellulare alla folla sotto di loro alternano questo gesto pagano alla sacralità del suonare il sistro che da ore segna il tempo della cerimonia. La simbologia anche qui è fortissima: dopo la tenebra del peccato arriva la luce e quindi la salvezza.

La luce porta la verità, la nascita. E’ arrivato il giorno di Natale. Foto: ©Roberto Gabriele

La magia della luce continua perchè adesso il cielo inizia a tingersi di rosa: è l’alba di Natale! La messa vera e propria ha inizio alle 6 del mattino, e finirà alle 9 dopo tre ore di canti e danze accompagnati ora dal ritmo dei tamburi che sovrasta e sostituisce il suono melodioso e malinconico del sistro. E qui l’anima africana  degli etiopi fatta di ritmo e danze prende il sopravvento sul rito lento e profondo che si è vissuto per tutta la notte… L’allegria generale da il benvenuto alla festa, segna la fine dell’attesa per la nascita di Gesù nel giorno di Natale.

Mercato
Tra un mercato e l’altro inizia il nostro lungo viaggio di ritorno verso l’Italia che durerà 3 giorni. Foto: ©Roberto Gabriele

Qui siamo lontani anni luce dall’icona tipica di Babbo Natale, siamo lontani dai panettoni e dalla neve. Benvenuti in Africa.

 

La chiesa cristiana copta celebra il rito del Natale con un calendario diverso rispetto al nostro, spostato di 13 giorni in avanti. La festa del Natale è quindi il 7 gennaio con la vigilia il 6, ossia il giorno della nostra Epifania. Quindi, la loro Epifania è il 20 gennaio.

Guajira: tra Colombia e Venezuela

La Guajira:

“La parte più a nord dell’America del sud” questo è il singolare primato che può vantare la penisola della Guajira, una terra praticamente sconosciuta al turismo di massa che è stata meta di una delle mie originali scorribande in giro per il mondo.

Riconosco che non ne avevo mai sentito parlare, me la nominò il mio amico Dario, un Colombiano che mi raccontava di questo promontorio desertico che si protende verso i Caraibi suddiviso o forse sarebbe meglio dire condiviso tra Venezuela e Colombia. Le sue storie mi incuriosirono a tal punto che decisi di andare a scoprire cosa ci fosse da quelle parti.

Andammo a fine novembre, quando il clima è più mite, il caldo non è soffocante e le piogge sono virtualmente assenti. Il fattore meteo va sicuramente tenuto presente quando si va da queste parti: ci troviamo in piena fascia equatoriale, poco al di sotto del Tropico del Cancro.

Salinas De Manaure
Salinas De Manaure. Foto: ©Roberto Gabriele

Ci troviamo in piena fascia equatoriale, poco al di sotto del Tropico del Cancro.

Il viaggio è lungo e faticoso anche se fatto in aereo: innanzitutto ci vuole almeno uno scalo a Madrid o Lisbona, poi ci vogliono una quindicina di ore di volo dall’Italia. Il ritorno è peggio perchè di ore di volo ce ne vogliono 27 dato che la TAP fa scalo a Panama, l’aereo viene svuotato e i passeggeri imbarcati di nuovo.

Finalmente a Bogotà: 2640 metri di altezza sul livello del mare. Qui vista la posizione, fa freddo e piove, tipica giornata da fine autunno. L’aria è rarefatta vista l’altitudine, salire ulteriormente fino alla montagna del Monserrate con il suo Santuario El Senor Caido a 3150 metri di altezza. Ci arriva la funivia ma i pochi metri che ancora bisogna fare fino alla vetta metteranno alla prova quelli meno allenati a livello respiratorio.

Bogotà Ha un piccolo centro storico in stile coloniale, con casette basse coloratissime che ricordano moltissimo quelle di Trinidad nell’Isola di Cuba. Qui è bello passeggiare tra gli studenti universitari che abitano nel quartiere è lo rendono un luogo stimolante e attivo. Per il resto la città non vanta altre bellezze degne di nota, se non il Museo dell’Oro che è un’esperienza mozzafiato per la ricchezza e l’abbondanza dei reperti che risalgono all’epoca precolombiana.

Dopo la doverosa visita alla Capitale, il giorno dopo ripartiamo con un volo interno alla volta, finalmente, della Guajira. Appena scesi veniamo letteralmente proiettati in un’altra realtà, lontana anni luce dal nostro mondo e anche da quello visto il giorno prima nella grande città.

Atterriamo a Riohacha, un piccolissimo aeroporto di quelli tipici dei Paesi tropicali: le palme, un camioncino dei Vigili del Fuoco arrugginito e la scaletta per scendere direttamente sulla pista e proseguire a piedi fino all’aerostazione che è un grosso salone con porte e finestre aperte perchè non c’è aria condizionata.

Il volo viene operato da Avianca, la Compagnia di Bandiera colombiana che può vantarsi di essere la seconda compagnia aerea al mondo per data di fondazione preceduta solo dalla ben più nota KLM.

Candelaria

La Candelaria è uno dei quartieri più interessanti di Bogotà

la Compagnia di Bandiera colombiana che può vantarsi di essere la seconda compagnia aerea al mondo per data di fondazione

Siamo nel bel mezzo della Guajira, questa doveva essere la meta finale del viaggio con la motocicletta che fecero Che Guevara con il suo amico Alberto Granado, in realtà non arrivarono a destinazione: ma la mia meta aveva affascinato anche loro.

Da queste parti ancora si può provare l’ebbrezza di sentirsi “esploratori” o “viaggiatori” se preferite. Spingersi da queste parti significa essere davvero molto curiosi di sapere “cosa c’è oltre” oltre le solite mete turistiche, dove finiscono le strade asfaltate e inizia la vera avventura. E l’avventura non tarda ad arrivare: ci aspetta Emilio, il nostro autista: un omone gigantesco, un indio portato al sorriso e alla battuta con un tono di voce assordante, parla poco lo spagnolo, più che altro conosce la sua lingua, ma con le sue 20 parole riesce a farsi capire senza problemi su molti argomenti. Saliamo sul suo bel fuoristrada 4X4 a passo lungo ed eccoci ad iniziare finalmente il clou del nostro itinerario.

Guajira
Nelle saline della Guajira in fuoristrada. Foto: ©Roberto Gabriele

Nel pomeriggio ci fermiamo in un villaggio di capanne di fango e paglia, qui è la norma, sembra di stare in Africa. Le donne sono poco abituate al turismo, ci salutano con una certa timidezza e non hanno nulla da venderci, siamo noi stessi a chiedere loro se vogliano esibirsi in canti o danze tradizionali per condividere con noi una parte della loro cultura. Ben felici della nostra richiesta,  le donne convocano un anziano percussionista che con il tamburo accompagna le loro danze che ricordano i movimenti che fanno i pennuti da cortile nei loro corteggiamenti. Questo è il nostro primo incontro con i Wayuu che vedremo più avanti.

Wayuu
Danze Wayuu. Foto: ©Roberto Gabriele

Ma è proprio questo suo fascino selvaggio che ci piace trovare

Proseguiamo fino a Cabo De La Vela un villaggio sul mare in una posizione da sogno, incredibile, con un mare verde smeraldo e le coste sferzate da un vento fresco e gagliardo. Anche qui non esiste il turismo in nessuna forma. Il lungomare è solo il “giardino sul retro” delle capanne costruite sulle dune. Nel villaggio non c’è assolutamente nulla nè da vedere, nè da fare, nè da comprare. Ma è proprio questo suo fascino selvaggio che ci piace trovare in questo piccolo avamposto nel nulla sospeso tra il mare e il deserto. Non esiste corrente elettrica, non esiste segnale telefonico per i cellulari.

C’è giusto il tempo di fare un bagno nell’Oceano al tramonto che arriva la sera: siamo in fascia equatoriale, per cui qui durante tutto l’anno il sole tramonta intorno alle 18, il che vuol dire che alle 19 abbiamo già finito di cenare e alle 21 si spegne il gruppo elettrogeno e tutto il paese resta nel buio più totale… Ne approfittiamo per fare qualche foto ad una notte stellata incredibile che non dimenticheremo facilmente.

Parlavo di avventura e il momento di andare a dormire ci riserva un’altra bella sorpresa: non ci sono le camere, non ci sono muri, nè letti! Si dorme tutti insieme sotto una tettoia di paglia ciascuno sul suo chinchorro (da queste parti le amache si chiamano così), ma ci vuole l’esperienza del nostro autista Emilio che ci spiega la tecnica per dormire su questi inconsueti giacigli: basta mettersi a 45° rispetto all’asse dell’amaca: in pratica è necessario dormire con le gambe appese all’esterno del supporto in modo da farlo rimanere un pò più aperto. Solo i più fortunati riusciranno a dormire un paio di ore a notte…

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La notte stellata su una spiaggia in Guajira. Foto: ©Roberto Gabriele

Per fare uno spostamento di soli 200 km ci vogliono 10 ore di “Colombia Massage”

La Guajira è un vero deserto in mezzo al mare: qui ci sono altissime dune sabbiose che vanno a finire direttamente nell’oceano, ci si sposta solo in fuoristrada 4×4 perchè non ci sono strade: la velocità media che si può tenere sulle piste è di 20 chilometri all’ora, il che vuol dire che per fare uno spostamento di soli 200 km ci vogliono 10 ore di “Colombia Massage”, una giornata intera di sballottamenti tra rocce e sentieri, tra guadi e saline.

Da qui partivano i corrieri del mare, i trafficanti di cocaina del cartello di Medellin che attraversavano il Mar dei Caraibi per fare tappa a Cuba e poi portare la droga nel sud degli USA. Molte delle piste segnate da queste parti e ancora oggi percorribili, sono state tracciate dagli sgherri al soldo di Pablo Escobar e non meraviglia più di tanto il fatto che la penisola sia ufficialmente divisa tra Colombia e Venezuela, ma andando da quelle parti ci si rende conto che tali confini siano piuttosto labili e di fatti i Wayuu sono un Popolo apolide che si sposta più o meno liberamente a seconda delle necessità tra questi due Paesi.

Di fatto i confini tra i due Paesi non vengono controllati: sono pochi e segnati male, ne segue una gran tolleranza per le popolazioni locali che sono piuttosto libere di passare da una parte all’altra nell’indifferenza delle Autorità preposte ai controlli di frontiera.

Cabo de La Vela
Una scuola a Cabo de La Vela. Foto: ©Roberto Gabriele

Migliaia di Fenicotteri rosa

Altra meta da non perdere in Guajira sono laghi e insenature di mare che ospitano migliaia di Fenicotteri rosa pronti a volare via appena l’uomo si avvicini nei paraggi. Per vedere questo spettacolo della natura suggerisco di utilizzare una piccola barca a vela con la quale avvicinarsi senza disturbare gli uccelli e di tenere anche montato il teleobiettivo stando pronti per riprenderli quando immancabilmente si alzeranno in volo: uno spettacolo meraviglioso contraddistinto dal particolare verso gracchiante dei fenicotteri impauriti!

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Fenicotteri rosa. Foto: ©Roberto Gabriele

“La parte più a nord dell’America del sud”

Ma la meta più estrema del nostro giro nonchè il termine del nostro itinerario è Cabo Gallinas: la punta famosa per essere quella più a nord di tutta l’America del Sud! Qui c’è un faro per i naviganti, una meta imperdibile per soddisfare le vanità di ciascuno di noi con un classico SELFIE!

I Wayuu oltre ad essere pastori e allevatori, sono anche abilissimi nuotatori e quindi pescatori, qui a cena puoi mangiare 4 aragoste a persona spendendo solo 18-20 euro… Il nostro viaggio fuori strada continua fino alle ventosissime Dune di Taroa molto note in zona proprio per questo motivo: il vento praticamente costante tutti i giorni dell’anno, può essere a volte così forte da far cadere una persona con le sue raffiche.

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Incontri ravvicinati a Punta Gallinas. Foto: © Roberto Gabriele

I treni che portano il carbone dalle antiche miniere tutt’oggi funzionanti, fino ai porti

La Guajira è una zona che oltre alle sue bellezze porta i segni anche dello sfruttamento del territorio: ci sono delle saline enormi come quella di Manaure: qui ci sono ettari ed ettari di terra in cui viene lasciata evaporare l’acqua del mare per ottenere cloruro di sodio utilissimo per l’alimentazione umana.

L’altra fonte di reddito che viene da questa natura aspra e avara, sono i treni che portano il carbone dalle antiche miniere tutt’oggi funzionanti, fino ai porti o ai consumatori finali: vediamo passare tanti convogli, sono lunghissimi con la tipica motrice a gasolio si spostano lenti portando ogni tanto a bordo anche qualche clandestino che non aveva altro modo per spostarsi.

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I treni minerari. Foto: ©Roberto Gabriele

Il nostro viaggio termina con il lungo e lento rientro verso il nostro mondo occidentale, abbiamo vissuto giornate intense di scoperta di un Paese sconosciuto ai più. Ci resterà il ricordo di una esperienza di vita rude e a contatto con una natura gagliarda in grado di fare del male a chi la sfidi, e al contempo innocua con chi la teme. Ricorderemo il silenzio profondo che pervade quei territori sconfinati e disabitati divisi tra l’oceano e il deserto.

Leggilo su Acqua & Sapone:

Questo Articolo è stato pubblicato sulla Rivista Acqua & Sapone a luglio 2017, sfoglialo sul sito: https://www.ioacquaesapone.it/leggi/?n=asagosto2019#106

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