Il Festival del Navruz in Uzbekistan

Samarcanda:

Se ami viaggiare, ma viaggiare veramente, Samarcanda non può mancare tra i viaggi che devi fare, o che hai già fatto. E anche se non ci sei mai stato, sai già che Samarcanda si trova lungo l’antica Via della Seta, la strada carovaniera che univa l’Oriente e l’Occidente, Pechino a Roma passando per tutta l’Asia Centrale, la Turchia, i Balcani per arrivare in Italia. La via percorsa da Marco Polo.

 

Samarcanda quindi non è solo il titolo di una famosa canzone nè di una città mitica e ormai scomparsa, anzi… Samarcanda oggi è una città frizzante, piena di vita e di turismo, che mantiene integra la sua bellezza antica insieme ad uno stile di vita occidentale ma allo stesso tempo molto legato alle tradizioni.

 

Siamo in Uzbekistan, molti di noi non lo hanno neanche studiato a scuola, semplicemente perchè all’epoca non esisteva neanche sulle carte geografiche, era ancora una delle tante, sconosciute, Repubbliche Sovietiche.

 

Vedere questa città per molti viaggiatori è vivere un sogno che magari attende da 10 o 20 anni di essere realizzato. Arrivare qui ed entrare nella Piazza Registan illuminata al tramonto è un’esperienza che ti lascerà senza fiato, sentirai un senso di appartenenza a qualcosa che già faceva parte del tuo DNA.

 

A Samarcanda la cosa più famosa sono le tre enormi madrasse, ossia le scuole coraniche che con i loro minareti costituiscono i tre lati di una piazza di rara bellezza. Le madrasse sono aperte al pubblico dei visitatori anche non musulmani: qui l’Islam è una religione molto sentita perchè moderata, pacifica e accogliente. Gli Uzbechi sono un popolo sorridente, e sorridendo mostrano con orgoglio i denti d’oro che nella loro cultura vengono apprezzati come un vezzo estetico e come status symbol del livello sociale.

La Via della Seta:

Il periodo d’oro di questo Paese fu quello di Tamerlano, un conquistatore che creò un regno enorme ed efficientissimo, la Via della Seta qui mostra ancora i suoi antichi splendori con edifici decorati con maioliche coloratissime e disegni geometrici che a ben guardare sono versetti del corano stilizzati. Sono stato già 3 volte in Uzbekistan a fare foto: la lunga strada che attraversa il Paese, i suoi caravanserragli, le stazioni di sosta degli animali, i mercati straordinari di scambio delle merci ancora oggi si distinguono per la varietà dei prodotti che si possono trovare. Dai tappeti alle sete più raffinate, dall’artigianato al pane che si presenta in ogni forma e viene cucinato con le tecniche più diverse che merita un’attenzione particolare.

I commerci nei secoli hanno unito culture lontane, hanno fatto incontrare viaggiatori lungo le loro strade, hanno portato benessere a chi li ha praticati e a chi di essi si è giovato per migliorare la propria vita. In effetti qui la gente sta bene, c’è una cultura molto pacifica e accogliente nei confronti di chi passa in viaggio da queste parti e si ferma anche solo per un thè prima di riprendere il suo cammino.

Viaggiare lungo la Via della Seta ti fa sentire molto forte proprio questa “presenza” di altri viaggiatori che prima di te hanno percorso quella strada, trovandola nei secoli sempre uguale a sè stessa, con le sue moschee e minareti, le stazioni di posta, le botteghe degli artigiani che ancora oggi si affacciano su di essa. La Via della Seta va vissuta dai viaggiatori di oggi come quelli del passato nel ricordo e nella percezione della sua importanza storica e culturale.

Il Navruz:

In tutto l’Uzbekistan, il 21 marzo si celebra il Navruz: la festa più importante dell’anno che in tutto il Paese da il benvenuto alla Primavera. In ogni quartiere, in ogni città, in ogni villaggio del Paese ci si riunisce per festeggiare con riti che richiamano alla tradizione uzbeka.

 

I festeggiamenti possono essere celebrati in vari modi a seconda delle usanze del luogo. Mi è capitato di vedere due volte questa festa, in un villaggio piuttosto isolato nei pressi di Samarcanda. Occorre arrivarci, sapere dove si trovano certi eventi perchè assistervi non è così semplice, spesso si rischia di arrivare solo ad una tavolata comune a cielo aperto, una sorta di pranzo di quartiere… Io invece con la mia guida sono riuscito ad arrivare in questo posto nel quale più che una vera piazza come la intendiamo noi c’era uno slargo sterrato tra le casette dell’agglomerato urbano e lì si svolgeva la festa.

 

Gli uomini, riuniti in quadrato intorno ad un grande tappeto da gara imbottito come una sorta di tatami artigianale, si esibiscono rigorosamente tra loro in un torneo di Kurash, la lotta libera locale nella quale sono fortissimi. Gli incontri durano pochi minuti, il giudice di gara non è una persona ma è tutto il pubblico che testimonia la regolarità dell’incontro. Gli atleti si presentano scalzi sul campo di gara indossando i vestiti di tutti i giorni, quelli con i quali vanno al lavoro nei campi, niente divise, nessun abbigliamento da gara, niente rituali di preparazione: la lotta non è violenta e non prevede colpi, ma solo leve di forza per mettere l’avversario con le spalle a terra. Il vincitore dell’incontro porta a casa premi in natura come ad esempio una gallina viva, o un sacco di 25 chili di riso.

 

Mentre gli uomini lottano,  sul lato opposto della piazza, le donne sono invece tutte vestite a festa con abiti coloratissimi dai tipici disegni uzbechi che ricordano molto da vicino le matrioske con i loro fazzoletti annodati sulla testa e un tipo di trucco che unisce le sopracciglia rendendo sul viso l’effetto di una specie di onda molto caratteristico. I loro vestiti sono pieni di merletti, di ricchi copricapo decorati, a vestire con grande eleganza e femminilità. Si esibiscono in danze e improvvisate, sfilate di moda che servono alle ragazze anche per trovare marito mostrandosi nel migliore dei modi a quelle che sono le loro potenziali future suocere che potrebbero intercedere a loro favore nei confronti dei figli maschi. Non pensare a matrimoni combinati, a obblighi di sposarsi con persone stabilite dalla famiglia, vedila piuttosto come una presentazione informale tra le famiglie che esprimono in partenza il loro gradimento per il formarsi della coppia che poi è completamente libera di piacersi o no.

 

Le donne danzano con grazia e con gioia mentre i loro uomini combattono. Questo è il Navruz, ma non finisce qui. In altri villaggi la disputa si fa con uno sport chiamato Buzkashi. Si tratta di una gara piuttosto cruenta nella quale la palla è sostituita da una pecora decapitata che ha le modalità di contesa tipiche del rugby fatto però a cavallo e la pallacanestro poichè per segnare punti il malcapitato animale viene gettato in una buca o in un pneumatico di camion. Si tratta di feste davvero isolate, momenti di grande tradizione e storia ai quali è difficile assistere sia perchè lontani dai normali percorsi turistici, sia perchè occorre avere una buona guida che sappia trovarli e anche questo non è assolutamente facile, nè è sicuro che si riesca ad assistervi.

 

Per tutti , poi, il Navruz termina con una enorme tavolata in strada a cui prende parte tutto il villaggio e i fortunati ospiti che sono riusciti ad arrivare fino a lì come è stato nel mio caso. Anche questa va vista con un occhio attento alla cultura, la tavolata infatti si fa nelle case, non in strada, ed è rituale: ha una apparecchiatura estetica e molto curata con cibi che hanno un valore simbolico, come ad esempio i dolci che sono l’augurio ad un anno dolce, un piatto con germogli di grano fioriti che rappresentano la fertilità della terra, i frutti della campagna che sono arance e mele che per il loro odore rappresentano il piacere e la frutta secca, tipico cibo dei viandanti. Il tutto accompagnato rigorosamente da una tazza di thè caldo. Nelle tavolate in piazza invece mangerai grigliate di pecora, maiale, manzo e salsicce tipiche, il tutto condito con buonissime salse di ceci o di sesamo.

 

In alcuni casi, infine, potrà ancora capitarti di vedere i salti rituali del fuoco a fine serata. Sono dei riti di passaggio e prove di ardimento, viene celebrato l’alternarsi delle stagioni saltando dei falò che vengono arsi in strada. Oggi questo tipo di rito è più raro da vedersi perchè ci sono normative di sicurezza che in città impediscono di appiccare incendi nelle strade, può capitare di vederli ancora ma sempre più raramente nelle campagne.

 

E se vuoi seguire le mie tracce alla ricerca delle particolarità più belle dell’Uzbekistan, devi proprio uscire dagli itinerari tradizionale turistici, lasciare la Via della Seta alle tue spalle e proseguire verso nord, seguendo la strada diretta in Kazakistan, e arrivare sulle sponde di quello che fu il Lago Aral, lì ci sarai solo tu. Ci vuole un intero giorno di auto da Khiva per arrivare fino qui. Un angolo di mondo completamente sconosciuto al turismo che è il teatro di uno dei più grandiosi scempi ecologici della storia: un intero lago di 300 chilometri di diametro è stato completamente prosciugato per irrigare i campi di cotone che si trovano a monte del fiume immissario.

 

Oggi il lago Aral è un deserto arido e salato sulle cui sabbie giacciono centinaia di barche arrugginite ormai definitivamente arenate su quello che un tempo era il fondo. Dal punto di vista fotografico è una situazione bellissima in cui scattare, ma dal punto di vista sociale ed economico questa è una piaga della quale dopo più di 30 anni ancora non si riesce a riprendersi, ormai il lago è definitivamente morto. La gente che viveva di pesca sulle sue sponde, di commercio e trasformazione del pesce è rimasta senza lavoro e la vecchia enorme fabbrica in cui veniva inscatolato, è ormai un luogo decadente e abbandonato, nella città semideserta restano ormai solo pochissime persone. Per arrivare fin qui occorre un intero giorno di auto da Khiva, poi occorre cambiare i mezzi e prendere i fuoristrada per poter entrare in sicurezza sul fondo ormai desertico del lago e spostarsi alla ricerca dei vecchi relitti navali. 

 

Dopo il lago Aral, inizia il rientro verso casa, in aereo si ritorna alla capitale Tashkent per poi tornare con un volo via Mosca. La Via della Seta è ormai lontana, ma sento ancora la grande influenza che ha avuto nella mia vita e nella mia voglia di conoscere, scoprire e fotografare il mondo.

 

Iran

Iran: il Paese a forma di gatto

“Il vostro Paese ha la forma di uno stivale, il nostro quella di un gatto!”, così dicono in Iran a noi italiani.

Questo approccio è stato senza dubbio il più curioso tra quelli mesi in atto da chi per tutta la durata del nostro viaggio ci ha avvicinato desideroso di praticare il proprio inglese e di sapere da dove venivamo.

Di questo paese a forma di gatto, con le orecchie a segnare il confine con Turchia ed Azerbaijan, il dorso a segnare i confini con il Turkmenistan e l’Afghanistan, e la coda quello con il Pakistan, ci ha colpito la curiosità (neanche a farlo apposta caratteristica tipicamente felina) dei suoi abitanti, così interessati a sapere che cosa si pensa in occidente dell’Iran e soprattutto di loro, che mai avremmo immaginato essere così ospitali, cordiali, amichevoli e soprattutto così lontani dall’immagine che le informazioni che ci arrivano ci inducono a prefigurare.
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Cordialità e ospitalità

E proprio perché inaspettata, la cordialità ed ospitalità dei suoi abitanti è stato l’elemento senza dubbio  più caratterizzante del viaggio di tre settimane che mia moglie ed io abbiamo effettuato nella Repubblica Islamica dell’Iran. Eppure un viaggio in Iran offre molteplici spunti di interesse: la storia,  l’archeologia, l’architettura, i paesaggi, l’aspetto etnico.

La storia dell’Iran è la storia del mondo. Qui si sono succeduti i maggiori imperi della storia: Medi, Persiani, Greci, Arabi. Persino i Mongoli di Gengis Khan hanno occupato a più riprese il territorio dell’odierno Iran contaminandolo con le proprie culture, tradizioni, religioni.

L’impero persiano è stato tra i più grandi della storia, arrivando ad includere nella sua massima estensione il territorio compreso tra la valle del fiume Indo (nell’odierno Pakistan) e le coste del nord africa e del Mar Rosso.

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Le conoscenze sviluppate da questo popolo spaziano in tutti i campi dello scibile umano. Costruirono nel V secolo a.C. la prima strada, un’arteria che collegava il centro dell’Asia con il Mediterraneo per uno sviluppo di circa 2700 chilometri. Implementarono poi un sistema di collegamenti “postali” che consentiva, utilizzando proprio questa strada, di trasmettere informazioni da una parte all’altra dell’impero in una settimana.

Al tempo una carovana mercantile impiegava, su quello stesso percorso, almeno 90 giorni. Questi determinarono con estrema precisione la durata dell’anno solare in un’epoca in cui in Europa si pensava ancora che la terra fosse piatta.

Tra le discipline scientifiche cui gli eruditi persiani dettero un sensibile apporto vi sono la logica, la teoria musicale, l’idrologia, la botanica, la zoologia, la gemmologia, la mineralogia.

Ma è l’architettura l’ambito in cui la Persia ha offerto i maggiori contributi alla cultura mondiale. Ciò è visibile soprattutto con le coperture a cupola delle moschee, le cui stupende decorazioni in ceramica che le arricchiscono sono tra i ricordi più vivi del viaggio.

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Logistica in viaggio:

Già il viaggio: noi avevamo a disposizione tre settimane, tra giugno e luglio, e abbiamo pensato ad un itinerario che ci permettesse una prima conoscenza generale del Paese, traendo ispirazione sia da itinerari percorsi da altri amici che dalle descrizioni delle guide turistiche.

Contattata via e-mail un’agenzia locale, abbiamo iniziato una fitta corrispondenza che ci ha portato a definire compiutamente l’itinerario alcune settimane prima della partenza.

L’agenzia ha inoltre provveduto ad inoltrare al Ministero degli Affari Esteri iraniano la documentazione necessaria per il rilascio, tramite il consolato in Italia, del visto di ingresso. Il nostro viaggio inizia da Teheran, dove rimaniamo un paio di giorni. Giusto il tempo di vedere il bazar, alcuni musei ed imparare ad usare la valuta locale.

Beh, a dire il vero abbiamo avuto incertezze sui prezzi fino alla fine del viaggio, ma del resto come potrebbe essere altrimenti? Hanno una moneta che si chiama Rial, però i prezzi li indicano in Toman (la decima parte del Rial) … insomma, le figuracce al momento di pagare qualcosa sono pressochè inevitabili.

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Nella capitale, ma la sensazione ci accompagnerà in tutte le principali città visitate, prendiamo subito atto di quale sia il vero, grande pericolo per chi viaggia in Iran: il traffico!

Non esistono regole: i semafori sono considerati poco più di un suggerimento, in autostrada sono ammesse le inversioni ad U, la precedenza agli incroci è di chi arriva prima o del più grande. Nonostante questa sorta di caos organizzato incredibilmente non abbiamo mai visto incidenti.

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Il viaggio:

Lasciata Teheran abbiamo iniziato il tour verso il nord del Paese, che ci ha portato a Tabriz dopo aver toccato le città di Qazvim, Anzali Abbas, Astara, Ardabil ed i villaggi di Mausoleh e Kandovan.

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Da Tabriz in volo abbiamo raggiunto la città di Shiraz, nel sud ovest dell’Iran, dove si dice sia stato “inventato” il vino settemila anni fa. E’ considerata la culla della poesia persiana, avendo dato i natali a due dei massimi poeti iraniani: Saadi e Hafez. In Iran la poesia è amatissima.

Le tombe dei poeti sono spesso inserite in giardini o piccoli parchi, frequentatissimi soprattutto al tramonto dalla gente e da molti giovani, che amano leggere i versi dei grandi maestri.

Si dice che tutti gli iraniani abbiano almeno due libri nelle proprie case: il Corano e le liriche di Hafez, e non sempre in quest’ordine di importanza …

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Shiraz può costituire un’ottima base per escursioni giornaliere nei dintorni. Da segnalare in particolare verso Persepolis e la vicina necropoli con le tombe scavate sulla roccia di Dario, Serse ed Artaserse.

Le rovine di Persepolis, il luogo più visitato dell’intero Iran, danno immediatamente l’idea di quale possa essere stata la grandezza di uno dei più potenti imperi del mondo antico.

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Da Shiraz ci siamo spinti ulteriormente verso est fino alla città di Kerman. Questa appare come un’oasi nella vasta area che costituisce l’appendice meridionale del  deserto Dasht-e Luth, che occupa la gran parte dell’est Iran. La città è una delle più antiche dell’Iran. La sua vicinanza con le principali direttrici del commercio con l’estremo oriente ne ha fatto un crogiuolo di etnie e culture diverse.

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Da Kerman abbiamo raggiunto, con un’escursione giornaliera, il punto più meridionale del nostro itinerario: la cittadella di Bam. Bam è stata completamente distrutta dal violento terremoto del 2003 ma ora in avanzata fase di ricostruzione.

Prima del cataclisma rappresentava il massimo esempio mondiale di cittadella interamente realizzata in mattoni crudi.

Ora questo primato è detenuto dalla cittadella di Rayen, ad un centinaio di chilometri da Kerman e da qui facilmente raggiungibile.

Nel corso della stessa escursione che ci ha portati a visitare Bam e Reyan. Abbiamo poi visitato anche gli splendidi giardini di Mahan, caratterizzati da una serie di fontane e ruscelletti circondati da alberi e fiori, una vera e propria oasi immersa nell’arido paesaggio desertico del sud est dell’Iran.

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Da Kerman è iniziato quindi il percorso di ritorno verso Teheran, con tappe nelle città di Yazd, Isfahan e Kashan. Isfahan per noi è la città che più di ogni altra evoca il fascino dell’antica Persia e sintetizza l’Iran attuale.

La sua piazza principale, Imam Square, attrae come una calamita i visitatori che durante le passeggiate alla scoperta della città vi ritornano continuamente.

Questa splendida piazza è seconda per dimensioni solo alla piazza Tien An Men, ed è racchiusa da lunghe mura in mattoni ad arcate sovrapposte, con il piano inferiore occupato da negozi.

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Le voci della piazza

Al tramonto la piazza si anima di moltissime persone. Alcune si portano da casa il cibo che consumano seduti sulle panchine o sul prato che circonda la grande fontana centrale. I ricordi e le emozioni maggiori del viaggio li dobbiamo proprio a questo posto.

Seduti ad osservare questo spettacolo di varia umanità, ci siamo lasciati avvicinare dai più curiosi ed intraprendenti di loro ed abbiamo conversato a lungo dei più disparati argomenti.

La pallavolo (“avete visto alla televisione l’Iran battere l’Italia?”), il lavoro (“che lavoro fate? Quanto si guadagna in Italia? Che cosa fanno gli italiani quando vanno in pensione?”), la famiglia (“quanti figli avete? Non avete figli?!?, Perché?”).

E poi… la politica (“non dovete pensare che il popolo iraniano sia come il governo iraniano …”), la condizione femminile (“il vero problema non è dover indossare il velo, è che alle donne sono proibite molte professioni e che in caso di divorzio i figli vengono affidati sempre al padre …”).

Sarà forse perché questa esperienza l’abbiamo vissuta ormai alla fine del viaggio, ma quando ripensiamo all’Iran (e ci capita molte volte di farlo) il ricordo va subito ad Isfahan ed alle ore trascorse nella sua magica piazza.

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Iran e fotografia:

Dal punto di vista fotografico, l’Iran è tra i luoghi più fotogenici che ho visitato. Ci sono bellissimi paesaggi, soprattutto al limite dell’area desertica. Non oso pensare quanto meravigliosi possano essere certi paesaggi montani in primavera o in autunno, con la vegetazione al suo massimo splendore.

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Ci sono architetture tra le più belle e raffinate che mi sia mai capitato di vedere. Le persone poi, se glielo si chiede, sono per lo più disponibili a farsi fotografare, e per la prima volta ci è capitato che qualcuno ci chieda di potersi fotografare in nostra compagnia.

In virtù di questa disponibilità da parte delle persone, mi sono ritrovato ad usare prevalentemente obiettivi zoom grandangolari. Questi sono essenziali anche per enfatizzare gli imponenti elementi architettonici  delle moschee e degli altri palazzi (portali, archi, colonnati, cupole).

 

Qualche problema tecnico di esposizione corretta lo si ha per la forte luce ed il riverbero (dovuto alla presenza di pulviscolo in sospensione nell’aria) presenti soprattutto nelle zone del centro e del sud vicine al grande deserto orientale. Per questo motivo può capitare di ricorrere ad esposizioni manuali per compensare l’escursione di oltre tre diaframmi tra zone illuminate e zone in ombra.

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E’ un viaggio che mi sento di raccomandare caldamente, non vi deluderà. Ritengo che il periodo migliore sia la primavera o l’autunno, ma il caldo estivo è comunque facilmente sopportabile dato il bassissimo tenore di umidità dell’aria.

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E allora, BUON VIAGGIO!
Riccardo Panozzo
333 5743082
rikipan@alice.it

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PS e saluti

A chi fosse eventualmente interessato ad organizzarsi autonomamente il viaggio, posso fornire i riferimenti della guida che ci ha accompagnato nella seconda parte del viaggio. E’ un ottimo autista oltre che guida molto competente, può supportarvi nell’organizzazione del viaggio anche se doveste essere un piccolo gruppo.

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